Un’evoluzione sempre più gourmet fatta di prodotti di grande qualità e ricerca gastronomica, dal boom dell’hamburger alle paninoteche di pesce.

 

Due fette di pane, del companatico. Il panino, ridotto all’osso, è qualcosa di semplice capace di accomunare culture alimentari tra di loro diversissime; dall’hot dog al “pani ca meusa” siciliano, passando per la “marenna” partenopea, finendo all’hamburger, nato in Germania, divenuto famoso in America e poi adottato da tutto il mondo. Un cibo oramai sinonimo universale di panino, di cui oggi ricorre la festa mondiale: l’International burger day, nato in Nuova Zelanda e diventato virale in pochissimi anni.

Ma da dove arriva il panino? Nato nell’antica Roma, con il panic ac perna (pane con mosto e prosciutto cotto nell’acqua di fichi), amatissimo dalla folla dei giochi organizzati dall’imperatore, nei secoli si è trasformato tantissime volte. E’ stato il celeberrimo Tea Sandwich (nome mutuato dal suo inventore, John Montagu IV, Conte di Sandwich) e il quasi omonimo Club Sandwich, nato a fine del XIX secolo per sopperire alle necessità alimentari dei nobiluomini che coprivano lunghe tratte in treno. In Italia è stato tutto e niente, parte integrante della nostra cultura popolare, allo stesso tempo bistrattato perché sinonimo, nell’immaginario collettivo, di un pasto veloce e di bassa qualità. Sdoganato negli anni ’80, con l’era delle paninoteche e dei fast food, quando divenne parte della ribellione di una generazione, oggi si è decisamente evoluto.

I paninari non ci sono più, ma i panini stanno vivendo una seconda giovinezza

Secondo un recente studio Doxa in collaborazione con Deliveroo, compagnia di consegne a domicilio, quasi la totalità degli italiani è un consumatore abituale di questa pietanza, con un terzo del campione che dichiara di mangiarlo quasi tutti i giorni. Nella media delle nostre scelte, continuano a farla da padrona le varianti delle ricette più classiche, con il burger ultra tradizionale che spopola a Roma, mentre a Milano si è soliti preferire il chicken burger o il cheeseburger; un panorama tradizionalista, che riserva però una buona fetta di mercato, in linea con le tendenze mondiali, alle grandi novità come i burger vegetariani e vegani – fra tutti l’avocado burger e il quinoa burger -e i burger dolci.

Secondo la ricerca Doxa siamo terzi tra i paesi più amanti degli hamburger, dietro solo a Inghilterra e Francia. Non a caso, visto che è proprio in questi tre nazioni che nasce il movimento del panino d’autore, una vera e propria rivoluzione del comparto che continua ancora oggi. Un percorso iniziato da lontano, “a cavallo tra tra i primi anni 2000 e il nuovo decennio” racconta Giacomo Ballarini, proprietario di Buns, pub veronese tra gli apripista del movimento del panino di qualità e autore di Burger perfetto (Gribaudo, 144pp, 14,30 euro). Un movimento nato grazie a grandi nomi come Blend, a Parigi, e Honest Burger, a Londra. Scelte radicali, come quelle di mettere nel piatto una storia e un racconto, materie prime differenti e fare vera ricerca gastronomica, che hanno fatto scuola, aprendo la strada a un vero e proprio movimento. Movimento iniziato in Italia con Al Mercato, locale milanese che si definisce un burger bar, dove “i panini erano pensati non tanto per unire qualcosa tra due fette di pane, ma erano ispirati per la prima volta da qualcos’altro. Nel loro caso, dalle esperienze di viaggio”.

Dalle prime esperienze a oggi, negli ultimi cinque o sei anni, si è sviluppato a macchia d’olio un movimento in parte assimilabile a quello della pizza napoletana, che da cibo assolutamente povero e pop, è oggi in piena rivalutazione. Il senso, oggi “non è più quello di creare semplicemente un pasto veloce, ma un’esperienza gastronomica. Non saremo mai una vera e propria cucina, ma sicuramente le nostre non sono semplici paninoteche”, bensì “ristoranti che servono hamburger” come chiosa Gennaro Cariulo del Da Gigione, a Pomigliano d’Arco (NA). Dalle ricette veronesi di Ballarini rivisitate in chiave panino, alla carne ultra selezionata di Cariulo, questo nuovo modo di intendere questo cibo passa attraverso alcuni punti cardine. Tecniche di cottura avanzate, sicuramente, ma soprattutto un vero e proprio processo creativo e un movimento di ricerca gastronomica che ha dei capisaldi comuni in tutta Italia. E oltre.

I paninari non ci sono più, ma i panini stanno vivendo una seconda giovinezza

Panino con tartare di carne (Gigione)

L’attenzione maniacale alla materia prima – e alla cottura –. Sorpassato lo step della “carne qualsiasi in un pane qualsiasi”, in questo momento storico il semplice companatico è diventato qualcosa di più. “L’hamburger – spiega Cariulo – è il centro della nostra ricerca, ed è un lavoro a 360°. Abbiamo iniziato dallo studio del semplice hamburger, oramai sei anni fa, iniziando ad innalzare la pezzatura, per poi sposarlo con un pane di tipo napoletano rivisitato, per avvicinarlo alla nostra cultura”. Un lavoro sugli ingredienti, sulle radici regionali e sulle tecniche di cucina, che accomuna il partenopeo Da Gigione a molti locali in tutta Italia. A partire dal sabaudo Divin Panino, che ha sdoganato i panini cotti al vapore all’ombra della Mole, a pochi passi da La Farcia, un progetto che vuole unire uno spuntino veloce, con ingredienti di alta qualità e carne piemontese. Movimento, quello del panino, che ha attecchito anche a Bologna, con il WellDone Gourmet Burger, dove a carni da allevamenti italiani non intensivi, si abbinano panini auto prodotti con farine unicamente biologiche. Panini d’autore, che si riconoscono anche in piccoli locali “special” come il Miles di Bologna, dal respiro jazz e il Public House di Caserta, retto da una forza tutta feminile e con ispirazioni da alta cucina.

I paninari non ci sono più, ma i panini stanno vivendo una seconda giovinezza

Il pane è fondamentale e merita la stessa ricerca della carne. (foto: Buns)

Un nuovo pane. “Prima ancora di pensare di aprire Buns – racconta Ballarini -, mi appassionai di lievitati e arte bianca e cominciai a studiare una mia ricetta, oggi affidata a un artigiano veronese che lavora per noi”. “Il pane è una base, non è il centro del lavoro, ma deve avere comunque personalità”, capace di reggere, secondo una voce generale da Milano alla Sicilia, il grande gioco di equilbri che è il panino contemporaneo. Regola aurea ovunque ci si approcci a un panino d’autore, come nel caso di Ino a Firenze, di Alessandro Frassica, che ha dedicato la primavera 2018 a una serie di incontri sul pane come protagonista o ancora del 200 gradi di Roma, che conclude la cottura del pane nel forno da cui prende nome il locale, 50panino, locale napoletano nato dall’idea di un maestro degli impasti come Ciro Salvo. O ancora Zia Rosetta, sempre nella capitale, che a un formato di pane ha dedicato tutto il suo format. Moltissimi, sempre di più, sono quelli che fanno il pane “in casa”, come la Burgheria di Torino, Tricolore Panini, che a Roma da Monti è passato al Testaccio e uno dei precursori del movimento, Ham Holy Burger a Milano.

I paninari non ci sono più, ma i panini stanno vivendo una seconda giovinezza

12 morsi

Il pesce, non solo nel piatto. Ma anche nel panino. “Una della nuove frontiere – secondo Scognamiglio, del 12 morsi a Napoli – è proprio quella di aprirsi a nuovi tipi di ingredienti, nonostante un pubblico ancora refrattario”. Per sorpassare le resistenze “cerco di far rientrare in un morso tutti i sentori, dall’acido, all’amaro, passando per il dolce, il sapido, l’astringente. Solo mettendo al centro il sapore a 360°, a prescindere dalla proteina, potremo sdoganare qualcosa di diverso dal classico hamburger”. Un lavoro che accomuna moltissimi locali in tutto il territorio nazionale, da grandi nomi come Pescaria, che da Polignano a Mare ora ha aperto anche a Milano, portando al nord i suoi panini con seppie, pesce spada, tonno e il sapore di quella Puglia dove quest’accoppiata nasce. E’ di Vieste, nel Gargano, Panini di mare, che pure sta allargando il suo franchising in città come Milano e Torino, mentre nasce a Trani Peschef, specializzato in panini gourmet a base di pesce, sia cotti che crudi. Un legame che sa di mare, che arriva fino a Mestre, dove fa capo Mr.Fish, e a Milano e Udine, dove si possono assaggiare i burger di riso e sushi di Shi’s.

I paninari non ci sono più, ma i panini stanno vivendo una seconda giovinezza

Il Cherry Bomb di Flower Burger

Come i veggie burger, l’ultima frontiera del mondo panino che si apre a quella che è una fetta sempre più ampia di persone con necessità e scelte alimentari differenti. Matteo Toto, fondatore della catena Flower Burger, la prima dedicata al mondo vegano in Italia, ha scelto di puntare tutto “sul fatto che vegano non significa triste”, in primis, ma soprattutto che “vegano non significa imitazione tout court di un piatto che in realtà fa parte di un’altra cultura alimentare”. “Non ho bisogno- dice sicuro-, per vendere i miei panini, di farcirli di un formaggio che non è fatto di latte, il nostro lavoro è tutto incentrato sul sapore in quanto tale, senza pensare ai nomi degli ingredienti”. Quindi al bando i surrogati di vario tipo e via libera a una nuova cultura del vegetale, per un lavoro sempre più diffuso, tanto che panini veggie si trovano in hamburgerie tradizionali, come proposta minoritaria, che in hamburgerie specializzate. Di questo settore del mercato fanno parte nomi come VeGusta, nella capitale, che lavora con materiale interamente bio, il franchising presente in tutta Italia – Sardegna compresa – Universo Vegano, o Vegan World, ristorante milanese dedicato a cucine vegane da tutto il globo, panini “all’americana” compresi. O ancora la prima paninoteca veggie in terra di Fiorentina, ovvero Vegan come Koala.